9 febbraio 2010

Nel paese delle mucche felici: Ben & Jerry's

Sarà che sono intimamente convinta che si comincia a morire quando si inizia a credere nei propri pregiudizi, sta di fatto che il mio 2010 è iniziato all'insegna di un'ostinata manovra di repressione di quelli apparentemente più ragionevoli.
Non molti giorni prima della mia sconsiderata avventura da Mc Donald's infatti uscivo irritata da Ben & Jerry's, non tanto (o meglio non solo) per via del gelato in sé quanto per la mia pervicacia nell'averlo voluto assaggiare.


E' andata così: sera d'inverno davanti al cupolone, è freddo, buio e c'è da aspettare ancora una mezz'oretta.
Considerazioni di repertorio sulla faccia della città che sta cambiando, sui negozi storici che stanno chiudendo lasciando il posto all'ennesimo centro di telefonia, non ultimo l'ottico di piazza del Duomo a Firenze.
Rewind: cos'è che hanno aperto al posto dell'ottico? Il mio sguardo si posa sull'insegna di una gelateria americana, tale Ben & Jerry's, mai sentita.


Mi soffermo a osservare il gelato.
"Sarà terribile" mi dico.
"Non puoi essere così categorica, non l'hai assaggiato" rispondo.
"Ora l'assaggio e ti dimostro che è terribile" insisto.
"Brava assaggialo, hai delle responsbilità nei confronti di chi ti legge, inclusa quella di non essere condizionata da un ovvio pregiudizio".


Così sono entrata, le due parti di me che ancora becchettavano e lo sguardo perplesso sull'infilata di vaschette quasi identiche che si offrono alla mia scelta.

In tutto saranno otto gusti diversi come nella meno pretenziosa delle latterie, ripetuti però in varie configurazioni nei quattro banconi dell' esposizione, fatto che denuncia una certa tendenza alla megalomania.
Si suppone, qualcuno almeno deve averlo supposto, che i nomi presenti sulle etichette debbano aiutare nella scelta, per quanto amenità tipo blinking banana, sweetie tweetie strawberry lane o crunchy chokey choco shock difficilmente sembrerebbero riconducibili ai nostri laconici "banana", "fragola", "cioccolato".

Impossibile evitare di lasciarsi catturare dalle immagini di pascoli verdeggianti che campeggiano alle pareti in pieno stile "latte di vera mucca" (chissà da cosa lo estrarranno il latte questi europei) né tantomeno rinunciare a leggere i 1001 consigli per creare una coppetta perfetta. Superati comunque questi scogli mi decido per una tazza media.
(Le coppette non sono previste, c'è la tazza da un gusto, quella da due... per amore di cronaca ho scelto la seconda).


Anche tralasciando l'insensatezza del prezzo (lo stesso del Mc Italy: sembra che al pessimo gusto venga curiosamente attribuito lo stesso valore commerciale) il gelato è una lunga serie di troppo. Troppo dolce, troppo freddo, troppi intrusi (pepite di caramello gelate, dadi di cioccolata a profusione, tutti durissimi data la temperatura)... Il risultato ricorda un pastone da allevamento e la sgradevole sensazione di venirne sopraffatti (o più precisamente soffocati) accompagna tutta la (penosa) degustazione.

Il sospetto che la posizione strategica della gelateria proprio sotto al Duomo sia stata pensata per catturare il turista straniero medio prima che possa incappare nella vetrina di una qualsiasi altra gelateria è forte. Per tutti gli altri forte è anche la tentazione di fare il giro della piazza ed infilarsi nel vicinissimo Grom dietro l'angolo. Non esitate, seguitela.




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